
Il primo dovere dell’uomo è di riconoscere il suo Creatore e Supremo Padrone con l’adorazione, atto che raggiunge la sua perfezione nell’ubbidienza e trova la sua espressione nel sacrificio. La sottomissione della nostra volontà alla Volontà divina è adorazione pratica e vissuta, è il sacrificio interiore, anima di quello esteriore o rituale di tutto il culto liturgico. L’adorazione propriamente detta, è diritto esclusivo di Dio e l’obbligo più essenziale dell’uomo come di ogni creatura, ne derivano tutti gli altri doveri.

Morte di un guru è l’autobiografia di Rabi Rabindranath Maharaj. Rabi non è indù qualunque convertitosi al cristianesimo, ma un bramino, guru, pandit, figlio di un guru yogi, adorato come avatar (divinità incarnata). Rabi è un profondo conoscitore della cultura indù e della sua spiritualità. Sarebbe certamente diventato un grande mistico yogi, se una «voce» da lui udita internamente non avesse cambiato il destino che le sue origini gli aveva spianato. Nella sua autobiografia Rabi narra l’incontro con Cristo che lo porterà ad abbandonare l’induismo per abbracciare la fede cristiana e che gli farà comprendere gli inganni dell’induismo e della spiritualità yogica, da lui sintetizzati nella sua famosa frase lapidaria, che non lascia spazio ad alcuna ambiguità circa il suo giudizio a proposito del misticismo orientale:
«Il piano di Satana è controllare il cervello dell’uomo occidentale con il misticismo orientale» (cfr. p. 157)
«Morte di un guru» è un libro appassionante che, se accolto, eviterà ai suoi lettori di cadere nelle deviazioni delle spiritualità orientali, tanto nocive, quanto all’apparenza conformi alle loro istintive aspirazioni.
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