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Il Purgatorio nella testimonianza di Gloria Polo

Il purgatorio nella testimonianza di Gloria Polo

L’esperienza della dottoressa Gloria Polo fu limitata al purgatorio. Mi ha confidato che le bastò vedere il fondo di esso per rimanerne positivamente terrorizzata, cioè spronata a vivere secondo la legge di Dio per meritare di non doverci ritornare. Nell’oscura voragine viva in cui cadde a testa in giù, risucchiata come in un vortice, vide aprirsi un’ulteriore voragine viva, verso la quale continuava a precipitare. Quella sì che era la porta dell’Inferno. Gloria comprese che se vi fosse entrata non sarebbe mai più ritornata: «Lo stato di morte della mia anima all’amore - dice Gloria -, nel quale mi trovavo dall’età di tredici anni, cioè da quando omisi di accostarmi alla confessione sacramentale nonostante commettessi dei peccati mortali, sarebbe divenuto definitivo e avrei dovuto lasciare ogni speranza»[1]. Pur rimanendo all’esterno di quella seconda voragine e quindi stando ancora nel fondo del purgatorio, Gloria sperimentò acutamente l’assenza dell’amore di Dio: «In questa tenebra fittissima non riuscii piú a percepire l’amore di Dio. Tale percezione non è assolutamente paragonabile, però, a quella che sperimentai verso la fine della mia vita terrena, quando divenni intimamente atea […] perché in terra l’amore di Dio si effonde su di noi continuamente, anche quando lo neghiamo! Per questo il dolore che si sperimenta (in terra) quando si vive nella convinzione che non ci sia alcun Dio amorevole risulta tollerabile». Dio circola come un sangue vitale nelle vene di tutto il corpo dell’Universo, per cui Gloria non riesce a comunicare totalmente la sua esperienza e noi non siamo in grado di comprenderla. Qui in terra nessuno potrà mai sperimentare una tale condizione. Nemmeno gli islamisti dell’ISIS che seminano terrore con le loro stragi possono qui in terra sperimentare l’assenza di Dio. Sono sì senza Dio perché privi di amore e pieni di odio, ma l’amore di Dio per i suoi figli scende anche su questi poveri figli ingannati e infelici.

Se il mondo fosse misericordioso, il mondo possederebbe Dio, e ciò che ci tortura in questo tempo di terrore causato dagli islamisti, cadrebbe come foglia morta. Ma il mondo, e nel mondo specie i cristiani, hanno sostituito l’amore con l’odio, la verità con la ipocrisia, la luce con le tenebre, Dio con Satana. E Satana, là dove Gesù seminò misericordia e la crebbe col suo sangue, sparge i suoi triboli e li fa prosperare col suo soffio d’inferno. Verrà la sua ora di sconfitta. Ma per ora viene lui perché noi lo aiutiamo. Beati però coloro che sanno rimanere nella verità e lavorare per la verità. La loro misericordia avrà il premio in Cielo. Il portare a Dio le anime lontane, che lo sentono per istinto, ma non lo conoscono e non lo servono nella verità, è la più grande delle misericordie. Gesù ha detto: «Portate il Vangelo a tutte le creature» (cfr. Mc 16,15; Mt 28,19). Ma quel comando, credete voi che Gesù l’abbia dato a quei dodici soli e ai loro diretti discendenti nel sacerdozio? No. Gesù vuole che ogni anima veramente cristiana sia anima apostolica.

È misericordia anche annunciare a tutti lo struggente seguito del racconto di Gloria. Quando, dunque, si trovava in questo buco privo dell’amore di Dio si ricordò delle anime del Purgatorio e allora gridò: «Anime del Purgatorio, per favore, portàtemi via da qui». Quello che poi accadde continua ad essere motivo di pianto per Gloria, nonostante siano passati vent’anni da quell’esperienza: «udii il battito di denti, i pianti e i gemiti di un numero sterminato di anime impantanate in quella tenebra di odio. Vidi che erano dei giovani, ma proprio tanto giovani, che protendevano le braccia piangendo e gridando di dolore. Mi resi conto che erano anime suicidàtesi in un momento di disperazione e che, in questa tenebra atemporale carica di odio, “attendevano che passasse il tempo” che avevano rifiutato di vivere per poi essere sottoposte al giudizio particolare completo. […] Il loro tormento maggiore era vedere come i genitori o le persone care li stavano piangendo, avvinti dai sensi di colpa per le azioni o le omissioni che avrebbero indotto il loro suicidio. […] Il refrigerio della benedizione […] può giungere a loro esclusivamente attraverso l’Eucaristia, nella quale confluiscono tutte le nostre opere buone e tutte le nostre preghiere. L’Eucaristia non è opera di uomini, ma di Dio, e per essa sono applicati i meriti di Cristo alla salvezza di un’anima purgante che ha perso la possibilità di meritare di uscire da lí. Bisogna allora far celebrare messe per i proprî defunti, bisogna lasciare che Dio continui quest’ opera di salvezza»[3].

 

 

 

 

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