Pubblicato il Lascia un commento

Omelia: I Doménica di Quarésima | Anno C

Letture della messa del giorno

Dice san Tommaso che «tentare l’uomo vuol dire provare la sua virtú», saggiarlo, métterlo alla prova. Ora, se a métterci alla prova è Dio, che è Buono, è certo che egli lo fa per stimolarci al bene, riconoscendo i danni che fa il male;

se, invece, a métterci alla prova è il Diàvolo, o la carne o il mondo, poiché sono in contrasto con Dio, lo stímolo sarà a cédere al male, chiamàndolo bene. Questo è típico del “Seduttore degli uòmini”, il Diàvolo, che non istímola mai al bene, ma “tenta”, nel significato peggiore che possiamo dare a questa parola.  L’uomo è stato tentato e sempre sarà tentato, ma la tentazione vinta o accolta è il banco di prova della sua fedeltà a Dio Padre. Del resto, se vogliamo sapere se una persona ci è veramente amica, dobbiamo prima métterlo alla prova. Se vogliamo èssere sicuri di agire come il Fíglio di Dio, dobbiamo spíngerci insieme allo Spírito Santo nel deserto, per quaranta giorni, ed imparare ad usare le armi che Gesú ha usato contro lo spírito del male.

Con il mercoledí delle Ceneri è cominciata la Quarésima. Oggi, prima Doménica di questo tempo di preparazione alla Pasqua, vogliamo meditare insieme le vittòrie di Gesú sul Maligno, con la potenza della volontà conformata a Dio, e della Sua Parola che ha il potere di zittire immediatamente e scacciare il demònio. Questa Parola Dio l’ha donata anche a noi e non solo per istruirci, ma per difènderci da ogni male perché, tale Parola, è la Verità, e la Verità rende líberi e demolisce la menzogna di cui sàtana è il padre.

Il Santo Vangelo annunciato da san Luca, si riferisce al misterioso episòdio delle tentazioni cui anche Gesú fu sottoposto. Gesú pieno di Spírito Santo, guidato dallo stesso Spírito, si addentra nel deserto in un completo digiuno per quaranta giorni, tentato dal Diàvolo. Gesú, che è vero Dio e vero Uomo, oggi ci mostra un episòdio in cui è la Sua umanità a manifestarsi fisicamente, moralmente, spiritualmente, cosí da farsi piú pròssimo alla nostra umanità, e insegnarci come si lotta e come si vince la seduzione del Bugiardo per eccellenza. Con Gesú, il deserto non diventa il luogo della ribellione a Dio, ma del trionfo di Dio sulle furbízie di Sàtana. Diventa il contràrio di ciò che era stato per gli Ebrei fuggiti dall’Egitto: «¡Quante volte si ribellàrono a Lui nel deserto, lo contristàrono in quelle solitúdini! Sempre di nuovo tentàvano Dio, esasperàvano il Santo di Israele» (Sal 77, 40-41). In quei quaranta giorni Gesú antícipa la quarésima di ciascuno di noi e tutti i nostri percorsi di penitenza, per liberarci anche dallo spírito di ribellione a Dio. ¡Quanto amore in quei dolori da Lui patiti, ma sopportati per tracciare un cammino di santità a cui guardare: un cammino che possa prepararci a vívere, santamente, la Resurrezione con il frutto del Suo sacrifício, del Suo esèmpio.

«Abbiate sempre ben presente che potete affrontare il diavolo solo se vi mettete in ginocchio davanti a Dio», ci ricorda san Charbel Makhlouf. Con le sue parole vogliamo meditare l’importanza di stare in ginòcchio davanti a Dio piuttosto che agli uòmini, agli ídoli di turno, alle lusinghe di questo mondo, perché solo Dio può aiutarci a víncere le piú insidiose tentazioni quotidiane.

Pensare di potér vívere la nostra vita di cristiani, sottovalutando le tràppole del demònio, è una stoltezza. Il cristiano è in battàglia ogni giorno, e Gesú, nella Sua umanità, nel deserto dove si era ritirato per quaranta giorni prima di dare inízio alla sua vita púbblica, accetta di èssere tentato dal Diàvolo per insegnarci come resístere agli assalti del nemico antico: nella tentazione di pensare solo ai bisogni “materiali”, nella tentazione del potere che si esèrcita non secondo carità e giustízia ma come sete di asservire il pròssimo a sé, nella smània di comandare, di víncere ad ogni costo! Nella terza tentazione, quella in cui molti càdono, piegare la Parola di Dio ai proprî interessi, darle una interpretazione di còmodo. A quanti, invero, sarà capitato di dire: «Sta scritto infatti…» e da qui giustificarsi nelle pròprie scelte piegando la Sacra Scrittura alla pròpria vanaglòria, ai proprî pensieri. Ma Gesú mette súbito a tacere il diàvolo rispondendo: «È stato detto: non metterai alla prova il Signore Dio tuo».

Gesú dunque non accòmoda la Parola a pròprio vantàggio, non adatta la Scrittura alle Sue necessità umane, Egli non si intrattiene a parlare con il Maligno, ma tàglia corto. E il Diàvolo, esaurita ogni tentazione, si allontana da Lui.

Mi viene in mente il mònito, sempre attuale, di fuggire le occasioni di peccato! Scrisse Don Giuseppe Tomaselli al riguardo, nel “combattimento spirituale”: «¿Come può la volontà resístere al male, se liberamente va incontro ad esso?».

Perciò, nei momenti di aridità, nei momenti della prova, nei momenti di smarrimento, nelle cadute, nelle difficoltà, quando tutto ci sembra perduto, sulla nostra bocca e nel nostro cuore teniamo vicino la Parola di Dio, e fuggiamo, fuggiamo la tentazione!, con l’esèmpio di Gesú Fíglio di Dio nel deserto; Fíglio di Dio che non ismette di lodare e amare il Padre, nella prova, e di rifiutare il male.

Anche la prima Lettura, dal libro del Deuteronòmio, ci mostrava l’importanza di gridare al Signore, al Dio dei nostri Padri, quando veniamo maltrattati, nelle sofferenze delle umiliazioni, nelle afflizioni causate dalla schiavitú! È questo grido che il Signore si attende per intervenire nel mondo, ma unito a un desidèrio: che nessún peccato mortale o veniale ci sia gradito, sia a noi accetto, o fàccia parte di quella che chiamiamo “civiltà”. Finché l’uomo chiamerà “amore”, “civiltà” e “progresso” gli inganni del Diàvolo sulla libertà, sulla sessualità, sulla vita nascente fuori del concepimento naturale, sull’aborto e sulle lògiche di domínio del mondo, non avremo le consolazioni e la giustízia del deserto di Gesú, ma le desolazioni e l’ingiustízia del deserto di cui cantava Umberto Tozzi, in un suo successo degli anni 90: «Noi che stiamo in còmodi deserti, di appartamenti e di tranquillità, lontano dagli altri, ma tanto prima o poi, gli altri siamo noi».

Lo scòmodo deserto porta alla vittòria, perché ci si fida dell’esèmpio di Gesú. Invece il còmodo deserto porta al conformismo e al vedersi piombare addosso il male, perché ci siamo fidati delle nostre pòvere forze di víncerlo. Che il Signore ci apra gli occhî su questo paccato mortale.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.