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Omelia: IV Doménica del Tempo di Pasqua | Anno C

Letture della messa del giorno

Il Salmo ci diceva: «Egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo pòpolo e gregge del suo pàscolo» (Sal 99, v.3). E il libro dell’Apocalisse ci faceva vedere come avviene questa appartenenza: «Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro» (Ap.7, v.15), cioè: Dio, l’Onnipotente, che siede come Signore sur un trono eterno, ci ha raggiunti attraverso il Fíglio, la cui tenda è l’umanità di Gesú Cristo. Questa tenda che è diventata dimora del Fíglio di Dio, adesso si stende su tutti coloro che lo ascòltano, gli crédono, lo séguono come Buon Pastore: la sua umanità deve diventare la nostra umanità, perché senza di essa non saremo gregge, né pecorelle, ma capre e caproni. Èssere gregge di Gesú vuol dire che l’io è inserito in Dio; il noi è accettàbile e possíbile a chi si disseta alle stesse sorgenti di acqua viva; la voce del Buon Pastore è sempre riconosciuta perché si persèvera nella gràzia ricevuta.

Alle pècore di questo gregge, che vívono queste condizioni (fusione nella volontà divina; cammino coi fratelli; e perseveranza fino alla fine), Gesú promette: «nessuno le strapperà dalla mia mano» (Gv 10, v.28). E poco dopo, essendo Egli e il Padre una cosa sola, aggiunge: «Il Padre mio, che me le ha date, è piú grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre» (v.29). Dunque siamo nelle mani di Dio, come bimbi in grembo a una madre o come tesori in una cassaforte non iscassinàbile, perché Dio è piú grande di tutti e cosí ha deciso. Tuttavia, lo sappiamo bene, ci si può pèrdere! E chi si perde non perde qualcosa, ma perde tutto, come comprendiamo dalle parole di Pàolo e Bàrnaba ai Giudei invidiosi delle moltitúdini di credenti nella Parola del Signore: «Era necessàrio che fosse proclamata prima di tutto a voi la Parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani» (At 13, v.46). Chi si perde, si perde perché non si è giudicato degno della vita eterna: ha pensato che quella parola annunciata dagli inviati di Dio fosse per il momento e non anche per il futuro oltre il tempo; ha avuto a cuore le sue vie, anziché la Via insegnàtaci dal Padre di tutti: insomma, si è comportato da capra.

¿Qual è infatti la differenza tra una capra e una pècora? La capra ama arrampicarsi sola sui dirupi e nelle scarpate, e non pàscola su piani verdeggianti. Per mangiare qualche erba appetitosa, infatti, si arràmpica in luoghi pericolosíssimi, ríschia anche di cadere da quelle pareti rípide e scoscesíssime. Le pècore, invece, àmano camminare insieme, compatte e vicine, dietro il loro pastore e al comando della sua voce, che esse riconóscono bene. Le pècore non le vedrete mai in una scarpata, perché il perícolo glie lo èvita la docilità al loro pastore. Le vedrete invece in pàscoli rigogliosi ed acque tranquille. Cosí fa il pòpolo di Gesú; il gregge che si è lasciato coprire con la sua umanità; che ha accettato sua Madre; e si è scoperto degno del Cielo, della vita eterna e di restare nella cassaforte della mani di Dio. Nessuna predestinazione, dunque, può èssere capita senza queste premesse. I calvinisti, ahiloro!, ingannati dall’eresiarca Giovanni Calvino, hanno creduto per sècoli alla dòppia predestinazione, anche sulla scorta di questo versetto della prima lettura: «Tutti quelli che èrano destinati alla vita eterna crédettero» (At 13, v.48), come se Dio decidesse senza di noi chi va all’inferno e chi in Paradiso. No, caríssimi fratelli! Dio è quel Buon Pastore che ha indicato nell’ascolto e nella sequela la certezza di non andare perduti: «Le mie pècore ascòltano la mia voce ed io le conosco ed esse mi séguono» (Gv 10, v.27). Questo deve avvenire sempre e sempre avrà bisogno di incoraggiamento e predicazione. Negli Atti abbiamo sentito come si comportàvano i santi Pàolo e Bàrnaba: «intrattenèndosi con loro, cercàvano di persuaderli a perseverare nella gràzia di Dio» (At 13, v.43). Dunque il gregge di Dio sta coi pastori e i pastori dèvono intrattenersi con il gregge. Non avere altri interessi! Non fuggire all’incontro coi fedeli! Non lasciare digiune le pecorelle di Parola di Dio! Non infischiàrsene se le pècore si avvicínano a perícoli per le loro ànime (e a pàscoli avvelenati). Allo stesso modo le pecorelle di Cristo non ameranno fare le capre, cioè i solitarî, gli individualisti della fede, della formazione, del discernimento, senza un confronto con i pastori, i padri spirituali, i confessori.

Il pòpolo di Dio, senza questo confronto, diventa il pòpolo dell’io, e la tanto discussa sinodalità diventa una delle tante teorie. Il sínodo sulla sinodalità in última anàlisi, tanto quanto il nostro èssere seguaci di Cristo, deve ricordarci questo camminare insieme del pastore con le pècore e delle pècore con il pastore, nella differenza dei ruoli e dei carismi.

Per evitare le derive, le voci affascinanti ma nemiche; l’isolamento narcisístico e l’orgóglio spirituale; il saltellare di dirupo in dirupo in false apparizioni mariane; il seguire chi ci fa crédere predestinati, senza perseverare nella gràzia, abbiamo un aiuto formidàbile: Maria santíssima. Ella è la Mamma che oggi e sempre dobbiamo festeggiare come la nostra Madre benedetta. E la dobbiamo festeggiare con l’imitazione delle sue virtú; con l’amore di figlî, che non pòssono fare a meno di lei; e con la preghiera úmile, che dal silènzio accòglie poi le parole di Dio per noi.

In questo mese di Màggio recuperiamo e rinsaldiamo il nostro rapporto único, ma anche comunitàrio, con la presenza della Tuttabella, Tuttasanta, Tuttamore. Parliàmole, onoriàmola, facciàmole compagnia nell’adorare Gesú nei tabernàcoli di ogni chiesa o cappella. Chiamiàmola in aiuto del mondo e della Chiesa con la rècita del Santo Rosàrio completo; consacriamo al suo Cuore Immacolato i nostri figlî o nipoti, ma soprattutto le nostre vite, attività, progetti, sofferenze e speranze. Il Buon Pastore insieme al Padre hanno deciso di darci cosí sicuro rifúgio e cosí premurosa Mamma e Pastora.

«Il Signore è con te» le disse l’arcàngelo Gabriele ed è pròprio cosí. Dove c’è lei non come devozione senza carità, ma come Madre della Carità, la voce di Gesú è riconosciuta; il pòpolo di Dio non si disperde ma resta unito; le resie sono riconosciute e debellate; le false apparizioni sono dimenticate o diprezzate; le vocazioni sbòcciano in tutta la loro bellezza; e la perseveranza nella santità e nella gràzia è assicurata. Gràzie, Madre Santa.  Gràzie, Pastora del gregge di Gesú.

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