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Omelia: VIII Doménica del T.O. | Anno C

Letture della messa del giorno

«La bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda» (Lc 6, v.45).

Facciamo fare eco a queste parole di Gesú e capiremo tutto il senso del suo discorso e delle letture di oggi, quanto mai attuali, come sempre del resto. Il tema centrale, infatti, non è la língua e l’uso che ne facciamo; non sono le discussioni inútili, verbose, pretestuose, o maligne, ma il tesoro da cui tutto parte: «buon tesoro» è l’amore divino da cui possiamo trarre ogni bene; «cattivo tesoro» sono le nostre passioni e la nostra presunzione di èssere i migliori, talché sopravvalutando noi stessi, la nostra Nazione, i nostri interessi, finiamo per èssere il contràrio di ciò che Gesú ci chiede: saremo, infatti, guide cieche, maestri ipòcriti, giúdici severi, frutti avvelenati di piante spinose.

Allora stiamo attenti al tesoro da cui tutto parte! Il Vangelo di oggi, con le sue paràbole, è un commento e completamento di quello di Doménica scorsa: senza l’amore per i nemici e la gratuità delle nostre azioni “buone”, che signífica il màssimo grado della carità, non c’è giudízio corretto, non c’è parola sàggia, non c’è testimonianza cristiana; c’è solo ipocrisia! La mente e i ragionamenti di una persona sono illuminati solo quando il suo cuore è impegnato a corréggere sé stesso e ad èssere indulgente verso gli altri. Praticamente, se non vogliamo èssere ciechi (nel senso spirituale e profondo che il Vangelo dà alla cecità), dobbiamo èssere piú severi verso noi stessi e piú benévoli verso gli altri, il che accade cosí raramente, che è piú fàcile vedere un’onda di venti metri sul lago d’Iseo, che un cristiano di questa spècie.

Manca il buon tesoro dalla nostra vita e, dunque, abbiamo una religiosità che non produce frutti, ma convinzioni errate e gesti fastidiosi o vomitévoli: volér, infatti, tògliere la pagliuzza dall’òcchio del fratello e non volér tògliere la trave dal nostro (Cfr Lc 6, v.42), è un’ingiustízia di cui noi renderemo conto. È anche superficialità! E il Signore ci chiede di abbandonarla. Il parlare è il primo modo di presentarsi; è la prima operazione di ogni relazione, ma se non esprime la realtà e non è coerente con la vita, è un inganno abominévole che non farà bene né creerà comunità.

Per questo il Siràcide dice: «Quando si scuote un setàccio rèstano i rifiuti; cosí quando un uomo discute, ne appàiono i difetti» (Sir [NV] 27, v.5).

Il setàccio scosso sono i problemi attorno a cui ci si appassiona o le discussioni in cui siamo coinvolti. Possiamo in essi selezionare ciò che è útile, edificante e vero, oppure possiamo èssere maggiormente interessati ai rifiuti, cioè a ciò che resta in superfície: il pettegolezzo, la diceria, il commento malévolo, il giudízio temeràrio, la bella frase piena di ipocrisia. Quando si setàccia, il mèglio cade sotto il setàccio, mentre la crusca e le altre impurità rèstano nel setàccio. Cosí quando si parla di un’altra persona o di un argomento di attualità, il mèglio lo dice chi ha escluso dalle sue parole e dai suoi giudizî l’invídia, il sentito dire, la superficialità, la parzialità, la piaggeria o il risentimento e l’òdio.

Facciamo degli esempî concreti. Si parla della persona piú ricca del paese, e io sono invidioso della sua fortuna; nell’aprire la bocca, senza conóscere il suo ànimo o il bene che fa nel segreto, dirò allora che è una tírchia, e maledirò i suoi soldi. Oppure, si parla di una persona che ci ha fatto tanto soffrire, e scopriamo che ha un male incuràbile. Anziché avere compassione e dispiacere, siccome restava in noi lo spírito di vendetta e il non averlo mai perdonato, potremmo èssere o ipòcriti o avvelenati nelle nostre parole. Ipòcriti: «mi dispiace tanto» (ma in cuor nostro stiamo ballando la tarantella per la felicità). Avvelenati: «Questo è ancora poco rispetto al male che mi ha fatto: dovrebbe morire fra atroci dolori»; oppure frasi terríbili come: «Deve versare sàngue!»; o «Dovrèbbero riportarlo a casa a pezzi», o altre espressioni piú colorite in siciliano.

«La bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda» (Lc 6, v.45). E in questi cuori c’è solo fiele e veleno.

Sovrabbonda invídia nel cuore? La bocca esprimerà invídia. Ricordiamo i figlî di Giacobbe che cosa dicèvano alle spalle del fratello Giuseppe: «Èccolo! È arrivato il signore dei sogni! Orsú, uccidiàmolo e gettiàmolo in una cisterna! Poi diremo: “Una bèstia feroce l’ha divorato!”. Cosí vedremo che ne sarà dei suoi sogni!» (Gn 37, 19-20)

Sovrabbonda òdio? La bocca esprimerà òdio.

Sovrabbonda malízia? La bocca esprimerà malízia.

Sovrabbonda ipocrisia? La bocca sarà tutta miele e inganni, discorsi di pace di un cuore che è in guerra e prepara le armi.

¡Quanta ipocrisia, ad esèmpio, nelle condanne alla guerra di quei potenti che la guerra la finànziano, la procúrano, la prepàrano con alleanze, violazioni di accordi e provocazioni! ¡Quanta ipocrisia nei discorsi al pòpolo da parte di chi si ricorda del pòpolo e delle sue aspirazioni solo in prossimità delle elezioni! ¡Quante parole di giornalisti sono vuote e tutta retòrica del consenso o del dissenso, purché sia contento chi li paga!

Dovremmo sperare che l’Europa capisca che ha già perso, non perché partéggia per la Nato e dice peste e corna di Putin, ma perché non è piú cristiana né vuole èsserlo.

«La bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda» (Lc 6, v.45). E il nostro cuore dovrebbe somigliare a quello di Gesú, che, come è rappresentato dal Sacro Cuore, arde sempre della fiamma della carità ed è, però, anche circondato e addolorato da una corona di spine. La fiamma è l’amore e le spine sono i peccati; la fiamma è la bontà verso tutti e le spine sono la penitenza a vantàggio di tutti. Ecco il buon tesoro da cui potremmo trarre fuori solo cose buone. Ma noi abbiamo un altro Gesú, irriconoscíbile, che al posto del cuore ha la televisione e al posto della testa ha il telefonino. Questo Gesú è il nuovo maestro di vita, di inganno, di ipocrisia, di parzialità, che ci siamo scelti e che ci piace. Ma come ci insegna il Vangelo, il vero Gesú è un Maestro che scèglie, non viene scelto (“Non voi avete scelto Me, ma io ho scelto voi”); índica una via stretta che purífica noi stessi, prima che gli altri; esige la mia conversione, non la mia convinzione di èssere giusto.

Dice Dio per bocca del profeta Baruc: «Tu hai abbandonato la fonte della sapienza! Se tu avessi camminato nella via di Dio, avresti abitato per sempre nella pace» (Bar 3, 12-13). Con queste parole, spieghiamo ciò che sta succedendo nel mondo e anche quella guerra intestina che molti di noi esprímono quando àprono la bocca.

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