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Omelia: XXXII Doménica del T.O. anno B

Letture della messa del giorno

La fede di molti è una grande rècita, un apparire quello che non si è. Gesú, in questa sèttima polèmica con gli scribi e i farisei, nell’última settimana della sua vita terrena, ci dà due criterî di giudízio di Dio nel VALUTARE LA VERA RELIGIOSITÀ E LA VERA OFFERTA.

Lo fa OSSERVANDO UNA PÒVERA VÈDOVA che nessuno consídera perché la sua offerta («le due monetine che fanno un soldo») equivale a 20 centésimi di oggi: una cifra irrisòria, rispetto alle offerte piú ricche dei ricchi; una somma che non fa rumore e non si fa sentire quando cade nel tesoro del Tèmpio, come invece accade per le monete sonanti degli scribi e dei farisei. Eppure Gesú apprezza «l’òbolo della vèdova» e questo consegna come lezione di vero amore per Dio ai suoi discèpoli. A Gerusalemme, nella settimana santa in cui sta per dare la vita per il mondo, nel centro della religiosità giudàica, Gesú «seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete». I RICCHI E I PÒVERI sono messi a confronto non come categorie sociològiche, ma come ESEMPÎ DI INTERIORITÀ CHIUSA O APERTA ALL’AMORE DI DIO. Da questo punto di vista, agli occhî del Signore che «conosce i pensieri dell’uomo» (Sal 93, v.11), i ricchi del mondo sono in realtà i pòveri davanti a lui e i pòveri del mondo sono ricchi davanti a lui, per un sémplice motivo: chi non ha Dio non possiede nulla anche se dispone di molti averi; chi invece gli dà il primato che mèrita nella vita di ogni creatura, possiede tutto e sperimenta la sua generosità provvidenziale.

Nella prima lettura, tratta dal primo libro dei Re, LA VÈDOVA DI SAREPTA DI SIDONE sta letteralmente morendo di fame, quando riceve sant’Elia profeta che chiede un po’ d’acqua e un pezzo di pane. HA SOLO «SOLO UN PUGNO DI FARINA NELLA GIARA E UN PO’ D’ÒLIO NELL’ÒRCIO» (1Re 17, v.12). Eppure Dio aveva ordinato ad Elia poco prima: «Àlzati, va’ a Sarepta di Sidone; ecco, io là ho dato órdine a una vèdova di sostenerti» (1Re 17, v.9). LA VÈDOVA SI SA PÒVERA e quanto a mezzi lo è realmente; MA DIO LA SA RICCA quanto a generosità e capacità di condivídere, e per ciò gli manda un suo profeta come òspite. La vèdova offre l’último e l’único pasto che pensa di potér fare prima di morire insieme con il fíglio, e invece la sua generosità è superata dalla generosità di Dio di cui era ricca. Elia le promette da parte del Signore che, finché non finirà la siccità e la scarsità di cibo, non finiranno in casa sua le riserve di víveri: «poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si esaurirà e l’òrcio dell’òlio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la piòggia sulla fàccia della terra”» (1 Re 17, v.14). La vèdova di Sarepta è un esèmpio di amore per Dio e per il pròssimo, oltre che di generosità, ospitalità, condivisione. Se la sua interiorità non fosse stata aperta a Dio, nulla di tutto questo sarebbe stato possíbile. Dio invece sapeva di potér inviare Elia da lei, perché sapeva di èssere Re nel cuore di quella donna. Lo stesso si dica per LA VÈDOVA DEL VANGELO, che È ESÈMPIO DI COME DEVE ÈSSERE IL CRISTIANO E DI COME DEVE ÈSSERE LA CHIESA. Né l’uno né l’altra dèvono avere sé stessi come fine último della religiosità!

Né l’uno né l’altra dèvono farsi guidare dall’apparire, dall’avidità e dall’ingiustízia. Gesú non ce l’ha con lo scriba in quanto intèrprete della Legge, autorità che dalle sinagoghe riceve la giusta riverenza nella vita púbblica e sociale della gente. È giusto, infatti, per Dio che gli uòmini assennati rèndano omàggio a quanti hanno trovato nella sapienza divina la loro sapienza (Cfr Sir.18, v.28). GESÚ, PERÒ, NON VUOLE CHE UN EFFETTO SECONDÀRIO DELLA SANTITÀ (L’OMÀGGIO DELLA GENTE) DIVENTI LA PRINCIPALE PREOCCUPAZIONE DEL SERVO DI DIO E DELLA CHIESA: «Guardàtevi dagli scribi, che àmano passeggiare in lunghe vesti, ricévere saluti nelle piazze, avere i primi seggî nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti» (Mc 12, 38-39).

Se siete stati attenti al verbo che usa Gesú per stimmatizzare questa fiera delle vanità, avrete notato che è AMARE (Guardàtevi dagli scribi che “àmano” fare queste cose…). Il grande comandamento dell’amore che abbiamo visto Doménica scorsa, nel diàlogo di Gesú con uno scriba non lontano dal regno di Dio (Cfr Mc 12, v.34), oggi si dissolve in altri tipi di amori che, in última anàlisi, sono egoismo, narcisismo e vanaglòria: tutte cose che fanno dare a Dio solo «parte del supèrfluo» (Mc 12, v.44).

LA RELIGIOSITÀ DI FACCIATA, INFATTI, COME LA SANTITÀ E DEVOZIONE PROGRAMMATA («prègano a lungo per farsi vedere» diceva il Vangelo al v.40) A DIO NON PIÀCCIONO!, perché Dio è Verità e Amore; e dove c’è la finzione e un interesse autoreferenziale, Dio è assente ed è presente l’io dell’uomo.

Nel rimpròvero di Gesú alla vita àntievangèlica degli scribi ci finisce anche l’avidità, che è somma ingiustízia perché ci fa entrare in relazione con gli altri non perché vediamo Cristo in essi, ma perché vediamo un guadagno econòmico. Questa avidità porta a una chiusura totale del cuore ai bisogni dei dèboli, per cui nemmeno una vèdova priva di mezzi viene rispettata o aiutata. Al contràrio, «divòrano le case delle vèdove» (Mc 12, v.40).

Ecco: IL CRISTIANO E LA CHIESA non dèvono èssere come questi scribi; non dèvono èssere come i truffaldini che porta a porta o con offerte telefòniche di nuovi e vantaggiosi contratti di energia o di gas, rúbano avidamente prima la fidúcia e poi i risparmî del pòvero. I cristiani e la Chiesa non dèvono stare nel mondo come il culturista che si guarda allo spècchio o si compiace di chi guarda i suoi múscoli da palestrato; ma DÈVONO STARE NEL MONDO COME LUCE E COME SALE, perché la luce e il sale non illúminano e dànno sapore a sé stessi, ma agli altri: òffrono tutto sé stessi come la vèdova. Chi cerca le persone o per l’eredità, o per la pensione e l’accompagnatore, o per il favore che ne posso ricévere, o per la fama che me ne può venire, non è ancora cristiano e non fa bella la Chiesa, la quale deve onorare Dio e amare il pròssimo prima di ogni altra cosa.

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