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Omelia: III Doménica di Pasqua | Anno C

Letture della messa del giorno

Il Vangelo di questa terza Doménica di Pasqua ci parla di fedeltà alle promesse battesimali, ma lo fa in modo non immediato: la chiarezza arriva man mano che osserviamo in profondità ogni cosa riguardante questa terza apparizione del Risorto.

Sí, perché tutto si svolge durante la terza apparizione di Gesú risorto ai suoi discèpoli, il cui contesto non è piú “il primo giorno dopo il sàbato” od “otto giorni dopo” questo giorno, che è giorno del Signore o Doménica: il contesto è feriale e simbòlico, perché quello che ci viene raccontato avviene in un giorno di lavoro, ma con tante indicazioni che riguàrdano non una qualsíasi pesca, ma la vita della Chiesa nel tempo della fatica, del búio e della lotta con le potenze del male.

Pròprio il nome con cui san Giovanni chiama il luogo del lavoro e della pesca, ci fa capire che IL RISORTO È VENUTO A PORTARE LA GRÀZIA LADDOVE PREVALE LA MORTE. “Il mare di Tiberíade”, infatti, chiamato cosí anziché “lago di Galilea”, índica che il mondo pagano in cui si muòvono i discèpoli non è un campo geogràfico nèutro rispetto all’attività apostòlica, ma piuttosto un luogo in cui gli ídoli dei poteri forti sono giganteschi e dànno il nome a ogni cosa; mentre la Chiesa è una barchetta con sette discèpoli. Non diremo mai “quattro gatti”!, perché qui il número sette índica completezza e non certo disprezzo per il píccolo gregge. Il “lago” è dunque diventato un “mare”, e il mare signífica vita solo per i pesci, non certo per gli uòmini. Se poi questo mare porta il nome della città di Erode Antipa, dedicata all’imperatore del momento (Tibèrio), comprendiamo che l’evangelista vuole dirci di piú di quello che dice a prima vista.

Del resto ¿non vi sembra strano che Gesú risorto e visto per la terza volta non sia riconosciuto súbito?

¿Non vi sembra strano che Pietro si tuffi nel mare cingèndosi i fianchi con la veste, perché era svestito? ¿Non si nuota mèglio senza vestiti? ¿E allora perché uno che è svestito si veste per nuotare verso Gesú che è sulla riva?

¿Non è una stranezza numèrica questa precisione nell’indicare i 153 pesci pescati, quando genericamente si poteva dire “piú di un centinàio di pesci”?

E ancora: Gesú che ha preparato il pesce e il fuoco sulla riva, pròprio per fare mangiare i suoi discèpoli, chiede il pesce pescato da loro. Perché?

¿E la ripetuta domanda di Gesú a Pietro, per tre volte, «Mi ami piú di costoro?…Mi ami?…Mi vuoi bene?», deve solo ricordare a Pietro del suo tríplice rinnegamento, la notte tra il giovedí e il venerdí santo?

Per rispóndere ad ogni domanda dobbiamo AVERE CHIARO IL FINE DI GESÚ E DELL’ÒPERA DELLA GRÀZIA: RÈNDERE TUTTI FIGLÎ DI DIO. Quest’òpera è idèntica a quella che gli apòstoli e i discèpoli hanno conosciuto nei tre anni di vita púbblica di Gesú. Gesú non chiede niente di nuovo, rispetto a quanto predicato e insegnato con l’esèmpio nei suoi anni insieme ai discèpoli. E la sua òpera di gràzia non ha fini diversi, se la guardiamo prima o dopo la sua morte e risurrezione. Quello che càmbia, adesso, sono gli occhî e i cuori dei discèpoli che si sono purificati nell’esperienza della Passione e si sono rianimati con la potenza della Risurrezione.

Lo stesso Gesú che tre anni prima aveva detto a Pietro “prendi il largo” e “getta le tue reti a destra”; ora da Risorto glie lo dice di nuovo, con la stessa voce, ma stavolta gli fa pescare non una quantità sproporzionata di pesci, ma cèntocinquàntatré, cioè i figlî di Dio. ¿Qual è il nesso tra il número 153 e i figlî di Dio? Se pensiamo al número 153 scritto in númeri àrabi o romani, non riusciremo a capire che cosa ci suggerisce l’evangelista in questo particolare, ma se ci ricordiamo che in ebràico, come in greco, a ogni léttera dell’alfabeto corrispondeva un número, la gematria del número 153 ci consegnerà la parola ebràica “Bnei Eloím”, che vuol dire appunto “figlî di Dio” se i segni dell’alfabeto si lèggono come léttere; che vuol dire invece “centocinquantatré”, se i segni dell’alfabeto sono usati come númeri.

Questa è la gematria o ghematria usata da san Giovanni per dirci: LA PESCA DEI FIGLÎ DI DIO SONO ALTRI FIGLÎ DI DIO: l’importante è la fedeltà al battésimo.

Questa è la prospettiva di Dio sul mondo: sta sulla riva dell’eternità e con la sua voce si fa riconóscere da tutti sia come Gesú di Nazareth che ha già detto le cose che oggi ripete, sia come Signore che dona lo Spírito Santo a coloro che gli obbedíscono.  Egli prepara da mangiare sé stesso per ristorarci dalle nostre fatiche: il fuoco è il suo amore divino e il pesce (in greco: ichthiùs) nasconde un acrònimo-confessione di fede: Gesú Cristo è il Fíglio di Dio.

LA PESCA È LA VITA ORDINÀRIA DEL CREDENTE, del lavoratore, che avviene non nelle acque tranquille di un laghetto, ma nel “mare di Tiberíade”, cioè nelle strutture di peccato e di morte di ogni tempo. In questo mondo intriso di male, gettare le reti a destra vuol dire restare sempre connessi a Cristo come i fili di una rete; ubbidirgli come persone che si ricòrdano di quanto ha già fatto per noi in passato. Tuffarsi, poi, con i fianchi cinti dalla veste, ci ricorda che senza il servízio ai fratelli non si ímita il Maestro e Signore che ha voluto lavarci i piedi con i fianchi cinti come ora sono quelli di Pietro.

Come figlî di Dio che pòrtano altri figlî di Dio al regno dei cieli, dobbiamo accettare che il Signore si serva dei nostri errori del passato per riannodare con Lui un víncolo di piú stretto amore e profonda gratitúdine, dove umilmente siamo sempre disposti a dire: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti vòglio bene» (Gv 21, v.18).

Infine, poiché la nostra vita può dare testimonianza a Dio persino nell’estremo momento del suo trapasso, anche noi dobbiamo dare glòria al Signore come suo Fíglio, che si è consegnato senza resistenze.

Tutto questo è fedeltà alle promesse battesimali e ci chiede di non lasciarci fermare da nessuno, come fécero gli apòstoli minacciati dal sinèdrio.

Dice il libro degli Atti, di cui abbiamo letto un brano nella prima lettura: «Fécero flagellare [gli apòstoli] e ordinàrono loro di non parlare nel nome di Gesú. Quindi li rimísero in libertà. Essi allora se ne andàrono via dal Sinèdrio, lieti di èssere stati giudicati degni di subire oltraggî per il nome di Gesú» (At 5, 40-41).

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