
La malattia non è mai una passeggiata. È qualcosa che piomba all’improvviso nella nostra vita e in quella delle persone che più amiamo, sconvolgèndola, perché ― ammettiàmolo umilmente ― ad essa siamo più o meno tutti impreparati. Un conto è, infatti, vedere e prevedere la malattia e un altro víverla.
Si sviluppa in essa un’ípersensíbilità alle esortazioni dei “sani”. Mariàngela lo sa bene. In questo suo diàrio inerente il pròprio percorso terapèutico per debellare un carcinoma mammàrio recidivo non si mette in càttedra, ma si siede sul letto del malato e, rimanèndogli accanto, gli racconta semplicemente il suo itineràrio quasi quotidiano di pellegrina della cura e il suo rapporto con Dio; quel rapporto che le ha fatto sperimentare una guarigione piú profonda e duratura della guarigione física.

La frase: «tutto è bene ciò che finisce bene!» è vera soprattutto se applicata alla nostra vita terrena che deve meritare quella vita eterna, che dipende dal nostro ultimo atto di volontà. Se questo è un atto di amore può riparare una vita fallita, come quella del buon ladrone. Se invece è un atto di ribellione o di disperazione, può rovinare per sempre anche un apostolo, come ce lo insegna Giuda. L’atto più importante della nostra esistenza terrena è dunque il morire, cioè quell’atto che la chiude e ci spalanca la vita eterna. Per questo l’autore offre questa sua meditazione basata sul pensiero di eminenti maestri e convalidato dalle luminose parole del Signore comunicate ai mistici cattolici.