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Omelia: Ascensione di nostro Signore Gesú Cristo | Anno C

Letture della messa del giorno

Oggi, cari fratelli e sorelle, comprendiamo bene il valore e il significato delle parole del Credo: «Siede alla destra del Padre», riferite al Fíglio di Dio, dopo che ha concluso la sua missione terrena ed è salito in cielo con il suo corpo glorificato.

Dice il Salmo [47] 46: «Ascende Dio tra le acclamazioni, / il Signore al suono di tromba. / Cantate inni a Dio, cantate inni, / cantate inni al nostro re, cantate inni». Queste parole, prima dell’evento che oggi celebriamo, avèvano per ogni ebreo il significato di descrizione processionale, perché accompagnàvano o la processione di vittòria di una guerra, gràzie alla presenza di Dio in mezzo al suo pòpolo; oppure il cammino dell’arca santa nel Tèmpio di Gerusalemme: una sorta di racconto cantato dell’evento litúrgico piú popolare, cioè Dio in mezzo a noi, che prende dimora nel suo Tèmpio, a 800 metri sul livello del mare, in quanto Re di Israele e di tutti i pòpoli. Il cammino di Dio diventa il cammino del suo pòpolo, tant’è che ci sono tutta una sèrie di canti ascensionali o  Salmi delle ascensioni, che vanno dal 119 al 134. Sono i testi che accompagnàvano il cammino dei pellegrini dai villaggî lontani a Gerusalemme, che geograficamente, come vi dicevo, è posta piú in alto di tutti, essendo a 800 m sul livello del mare. Testi usati dalle guide religiose di questi pellegrinaggî per nutrire di parola di Dio il cammino del pellegrino.

La parola ascensione aveva allora per il pellegrino un valore anche spirituale, perché IL CAMMINO CHE PORTA A DIO È UN CAMMINO DI PURIFICAZIONE, OLTRE CHE DI SPERANZA. Potremmo dire che nell’ascensione del fedele, c’è anche l’ascesi della sua ànima. Il Salmo che oggi, però, vi citavo perché scelto come Salmo responsoriale dalla liturgia, non ha come soggetto il pellegrino, ma Dio: «Ascende Dio tra le acclamazioni, / il Signore al suono di tromba». Sono le parole di un Inno che cèlebra la potenza e la vittòria di Dio su tutti i pòpoli, perché Egli è un Re eccelso. Applichiamo a Gesú queste parole. Egli è il Fíglio di Dio che risorto dai morti ha vinto la morte. Egli è la Via che conduce al Padre di tutti. Egli è la nostra Speranza viva, perché « non è entrato in un santuàrio fatto da mani d’uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore» (Eb 9, v.24).

Pròprio in questo comparire al cospetto di Dio in nostro favore risiede la giòia di questa festa e la sua benedizione costante sulla nostra umanità. Il Vangelo diceva: «Alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato sú, in cielo. Ed essi si prostràrono davanti a lui» (Lc 24, 50-51). Dio ascende, ci benedice, entra in Cielo da dove non si è mai allontanato, e va a sedere alla destra del Padre per intercédere come Avvocato. La sua benedizione non è solo il modo di salutare fisicamente i discèpoli con cui per quaranta giorni si è intrattenuto da Risorto, ma è lo status del suo corpo glorificato che siede alla destra del Padre.

Egli, in quanto vero Dio, è sempre stato in comunione costante con le altre Persone della Trinità, in cielo e in ogni luogo. Gli spostamenti di luogo, che conosciamo dall’Incarnazione in poi, riguàrdano l’umanità che Egli ha preso su di sé. Pertanto, quando san Luca ci dice negli Atti: «Detto questo, mentre lo guardàvano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhî» (At 1, v.9), ci è detto che L’UMANITÀ CHE GESÚ HA REDENTO NEL SUO CORPO MORTALE ORA VIENE PRESENTATA A DIO, VIENE NASCOSTA IN DIO, VIENE DIFESA AL COSPETTO DI DIO, con un grado di vicinanza che è superiore anche alla vicinanza che dànno gli avvocati ai loro assistiti in tribunale. Essi, infatti, stanno a fianco all’imputato, ma non ne costituíscono la famíglia o una parte stessa della sua persona. Gesú, invece, come Avvocato nostro, è il capo di un corpo único di cui noi siamo le particelle o molècole: in Lui ci siamo sempre tutti noi e in noi c’è l’umanità di Gesú, mentre «Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza» (Eb 10, v.23).

E la professione della nostra speranza è questa: Gesú mi ama; è morto per me; soffre, respira e vive nella mia umanità; mi sostiene, mi ispira e mi aiuta dall’alto dei Cieli, dove anch’io arriverò, se vivrò di fede; parla di me a Dio Padre, mostràndomi con amore nel suo corpo glorificato; non può dimenticarsi di me perché sono parte di Lui e perché Lui è ovunque io sono; ma mi insegna con la sua vita come si ascende.

Tutto questo, cari fratelli e sorelle, è il motivo della giòia e speranza cristiane. Tutto questo spiega le parole del Salmo: «Cantate inni a Dio, cantate inni, / cantate inni al nostro re, cantate inni».

Gesú è qui: è in me, è con me, è per me. Mi dà la forza soprannaturale di cui ho bisogno; mi purífica e rièmpie della sua pace; ma soprattutto parla di me a Dio Padre, di come si fida della mia libertà, di come mi ha strappato dalle grínfie del Diàvolo; di come mi ha inserito nella vita divina; di come mi ha accompagnato nelle diverse tappe della mia vita. Gesú fa poi vedere a Dio Padre le sue ferite, quelle che anche Tommaso volle vedere e toccare, ma non glie le fa vedere perché il Padre soffre della stessa incredulità dell’Apòstolo, ma piuttosto perché in quelle piaghe aperte c’è tutta la pazienza di Dio verso i nostri peccati. Il Padre si commuove nel vedere quanto ha sofferto il Fíglio per salvarci da noi stessi, dal mondo e dal demònio, e accetta questa difesa che il nostro Avvocato presenta come carta vincente. Noi però non dobbiamo dimenticare che pròprio per questo, se in vita non approfitteremo della vita e degli sforzi di Gesú per noi, potremmo èssere come imputati impazziti, che hanno la vittòria in pugno e l’Avvocato migliore, ma si àlzano e spútano al Giúdice, dichiarando, a loro perdizione, una farsa la perorazione piú bella.

¿Di che cosa abbiamo bisogno, allora? Di costanza; di continuare a camminare con Gesú fino alla destra del Padre. Lo dice anche la Léttera agli Ebrei, poco oltre le parole del brano ritagliato per questa Doménica: «Avete solo bisogno di costanza, perché dopo aver fatto la volontà di Dio possiate raggiúngere la promessa.

Ancora un poco, infatti, un poco appena,
e colui che deve venire, verrà e non tarderà.
Il mio giusto vivrà mediante la fede;
ma se indietrèggia, la mia ànima non si compiace in lui.
Noi però non siamo di quelli che indietrèggiano a loro perdizione, bensì uòmini di fede per la salvezza della nostra ànima» (Eb 10, 36-39).

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