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Rèplica del dott. Pàolo Bellavite

Riporto l’ínteressantíssima rèplica del prof. Pàolo Bellavite, al comunicato dell’Universtità di Verona; comunicato scritto a séguito dell’intervento del prof. Bellavite alla trasmissione “Di Martedì” condotta da Giovanni Floris.

La rèplica del prof. Pàolo Bellavite porta le prove a sostegno delle sue affermazioni e mette in luce la debolezza dell’istituzione úniversitària veronese di fronte alle campagne denigratòrie massmediàtiche, indirizzante contro i suoi stessi ex professori e ricercatori, che per ragioni scientífiche non pòssono avvallare la propaganda dell’attuale regime terapèutico.
Ne consíglio caldamente la lettura. Alla rèplica ho aggiunto i títoli per facilitarne la lettura.

Rèplica

Introduzione

Ho letto il lungo comunicato dell’Università di Verona, che ho riportato in precedenza, a riguardo di quanto da me dichiarato nel corso della trasmissione “Il martedì” di La7. L’Ateneo ribadisce che “Le sue opinioni sono opinioni personali, come quelle che qualsiasi cittadino può esprimere, e non rappresentano quindi a nessun titolo la posizione della comunità scientifica dell’Università degli Studi di Verona.” Ne prendo atto e secondo me tale precisazione sarebbe stata sufficiente e sostanzialmente accettabile. D’altra parte, mentre è ovvio che io ho parlato a titolo personale, in realtà ho riportato dati numerici, non solo “opinioni”.

Tuttavia, alcune affermazioni di tale comunicato mi obbligano a replicare, non tanto per difendere me stesso (visto che non ho fatto alcun male e sono serenissimo), ma per onore della verità scientifica e per le persone eventualmente interessate al dibattito, che ha avuto una certa risonanza mediatica.

La mia collaborazione attiva nei gruppi di ricerca dell’Università di Verona

Innanzitutto, devo precisare che faccio parte della “comunità scientifica” dell’Università di Verona a tutti gli effetti dal lontano 1984 e ho contribuito alla nascita della facoltà di Medicina. Sono diventato professore a 32 anni e ho insegnato fino al 2017, anno del pensionamento dopo il quale ho continuato a lavorare nel laboratorio del Dipartimento di Medicina, sezione di Patologia Generale (pagato dall’INPS anziché dal MIUR!). Nel corso della mia attività di ricerca ho pubblicato più di 160 lavori, e ho un H-Index di 49 (Google Scholar), uno dei più alti tra i docenti veronesi. Come altri professori, ho avuto la nomina a cultore della materia e lo sono tutt’ora (vedi qui) e negli ultimi quattro anni ho diretto un programma di ricerca che ha portato all’università circa 150 mila euro (di cui neanche uno finito nelle mie tasche). L’affermazione secondo cui il sottoscritto “non risulta avere alcuna collaborazione attiva con nostri gruppi di ricerca, tantomeno in ambito COVID-19” pertanto non è corretta.

Tra i diversi argomenti scientifici di cui mi sono occupato ci sono anche le vaccinazioni, pubblicando un libro e 5 articoli nella letteratura internazionale (calcolando solo quelli citati su PubMed), una produzione che non mi risulta sia all’attivo di molti altri studiosi veronesi. Recentemente, ho scritto un articolo su rivista “peer-review” con una ipotesi sul meccanismo della trombosi, causata talvolta dai vaccini anti-COVID-19. Di questo lavoro, primo nel suo genere nel mondo, ho informato AIFA e EMA (ricevendo i ringraziamenti di quest’ultima). Se la “comunità scientifica” veronese fosse interessata a leggere i miei lavori, troverebbe forse motivo di considerare la mia competenza non dico con ammirazione ma almeno con un po’ più di rispetto. In ogni caso, sono disponibile a fornire tutta la bibliografia ed eventualmente approfondire l’argomento con altri Colleghi e Colleghe dell’Ateneo anche e soprattutto con quelli che non sono d’accordo con le mie teorie. Posso immaginare che coloro che stanno sperimentando il “vaccino italiano” di cui l’Università va fiera, potrebbero essere interessati ai metodi della farmacovigilanza e della valutazione del “nesso causale”.

Le fonti scietífiche delle mie affermazioni

Ciò che più mi dispiace, come studioso, è che nel comunicato si facciano passare le mie affermazioni come prive di valore in quanto avrei citato “dati non documentati” e si dice pure che autorevoli colleghi avrebbero “messo in luce le incongruenze e le inesattezze riportate durante l’intervista”. Oltretutto, il comunicato non dice nemmeno quali sarebbero tali incongruenze e inesattezze. Mentre la confutazione delle teorie e dei risultati è salutare nella Scienza, questo tipo di critiche generiche fanno male a un ricercatore, se non accompagnate da una prova di errori.
E’ noto che in queste trasmissioni televisive si hanno pochi minuti (a volte pochi secondi) per replicare e nessuno ha mai tempo, ovviamente, di citare la bibliografia scientifica che sta dietro alle affermazioni. E così è stato anche in questo caso, al punto che mi è stata data la parola solo una volta e neppure ho potuto replicare alle critiche di una bionda presentatrice TV, che si è permessa di buttarmi addosso le sue “opinioni”. Inutile dire che nessuno dei critici in TV ha citato le fonti delle proprie affermazioni. Comunque sia, a scopo di tacitare una volta per tutte questa critica da parte del mio Ateneo, posso riferire che i dati degli effetti avversi gravi riportati da AIFA con metodi di farmacovigilanza “passiva” (circa 40/100.000) vengono dal terzo rapporto pubblicato il 15 aprile mentre quelli sugli effetti avversi gravi derivati dalla farmacovigilanza attiva o sperimentale (circa 4%, cioè 4000/100.000) si trovano rispettivamente sulla rivista “Life” e nel lavoro originale sul N. Engl. J. Medicine dei ricercatori della Pfizer. La differenza di 100 volte è probabilmente dovuta ai diversi metodi di rilevazione, problema che si riscontra anche per le comuni vaccinazioni dell’infanzia (Morbillo-parotite-rosolia-varicella) . In conclusione faccio fatica a giustificare le critiche rivoltemi dall’Ateneo, in cui credevo ci fossero persone consapevoli della differenza che c’è tra vaccinovigilanza passiva e attiva.

Conclusioni

In conclusione, il fatto che il mio Ateneo si dissoci dalle posizioni da me espresse mi dispiace, perché me ne sento ancora parte. Eppure, conoscendo l’ambiente universitario e il mondo della medicina, la ritengo una scelta legittima, di cui si assume la responsabilità di fronte alla popolazione italiana. Prendo atto serenamente, anzi me ne rallegro, del fatto che sia stata ritenuta legittima la mia scelta di esprimere la mia opinione durante detta trasmissione, riportando i dati di cui ero a conoscenza.

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